La senti quando arrivi al Fons ‘d Rumour, la sua voce. Il Rocciamelone è lì, ti si staglia davanti con il suo paretone che spinge verso l’alto e ti soffia in faccia l’eternità, come se rinascesse ad ogni istante dalle briciole dell’immensa morena ai suoi piedi. Non ti guarda né ti sovrasta, il Rocciamelone. Non lo fa mai, né dal Fons ‘d Rumour né dalla Resta né da quel che rimane del suo ghiacciaio né da alcuna delle sue creste. Nemmeno dalla superba e giocosa Cresta Est, che quando la sali ti sembra di arrampicarti su un tentacolo d’aria fino a che la vetta ti si materializza fra le mani e sembra sfiorarti con un sorriso distratto, per poi volgersi altrove.
Il Roc è lì e basta; e tutto ciò che sta intorno a lui o sopra di lui, tu compreso, sembra procedere da lui e conservare un senso solo fino a quando resterà avvinto da quel magnetismo naturale, tanto da voler tornare ancora, e poi ancora e poi un’altra volta e poi all’infinito, in un viaggio senza fine e senza inizio, circolo di eternità. Qualcosa di molto simile a una stella con il suo sistema gravitazionale, fatto di forze contrapposte, di tensioni, di equilibri, di traiettorie perfette, di tutto. O, che è lo stesso, qualcosa di molto simile a un dio. Ecco sì, un dio.
In altre valli più a Sud hanno il Re di Pietra: elegante, superbo, regale. Qui invece abbiamo il Roc: misterioso, indifferente, divino. Lo videro così, certo, gli antichi, che riconobbero in lui la montagna sacra. Lo videro ma soprattutto lo sentirono. Perché la voce del Rocciamelone, quando entri nel suo campo magnetico, ti afferra e ti attrae a sé, ti fa sentire parte della sua stessa anima quasi a procedere da quella. Melodia inquietante di una Sirena buona, che ti fa suo ma poi non ti divora e, se vuoi, ti lascia libero di andare. Però viene con te e ti resta dentro e non ti lascia più. Ti conquista, ti lascia andare e ti accompagna per sempre. Proprio come un dio. O come una stella.
Non è la voce dell’acqua che riecheggia violenta al Fons ‘d Rumour. Non è il crepitio dello sfasciume né l’eco delle frane né il suono del vento. È l’insieme di tutto, una collana di note, migliaia di voci millenarie miscelate a formare l’unica voce del Tutto. Una voce che all’improvviso tace, scomponendosi nelle sue parti e rompendo l’armonia, ma solo per ricordarti che il silenzio, come il non essere, non è. E per ricominciare subito più impressionante e avvolgente di prima, quasi a minacciarti su ciò che avresti potuto perdere, ma che tanto non perderai. Perché è.
Nel cuore del Fons ‘d Rumour sei come nell’orchestra di un antico anfiteatro greco, a pochi passi dall’ara di Dioniso, centro degli infiniti raggi di un’architettura perfetta. Dove l’acustica è assoluta e ti sorprendi a sorridere chiedendoti chissà se l’hanno copiato dalle pendici del Rocciamelone, il teatro di Epidauro. Ma è un attimo, perché la voce ti afferra e ti rendi conto che la scena è ribaltata e sulla cavea intorno a te non c’è il pubblico: c’è il protagonista dello spettacolo, il Roc, con tutta la sua corte di Brillet, di creste, di profili, di massi erratici. E non ti guarda, perché sa che ormai sei suo. E c’è quella voce, che riecheggia in un rimbalzo di geometrie purissime.
Racconta il Roc, quella voce, racconta l’essere, racconta l’anima della montagna, racconta il dio. Inevitabile salire, per Ulisse, che non potrebbe essere legato a nulla che non fosse parte stessa della voce del Tutto. Inevitabile voler essere più su, quasi a fuggire il giudizio di un processo senza scampo al cospetto di quelle presenze. Inevitabile guardare al Roc con un fremito che va oltre l’imponenza della montagna e del suo paretone. Impossibile non ascoltarlo. Così fecero gli antichi, così hanno fatto migliaia di uomini nei secoli successivi.
Sulla Resta all’improvviso la voce del Roc ti si fa complice. La lama d’aria che scatta dalla testa del ghiacciaio di un tempo decapita gli ultimi pensieri futili che rischierebbero di annebbiare l’acustica perfetta. Come un meccanismo implacabile. È lì che ti rendi conto che ormai la voce circola nelle tue vene fingendosi ossigeno.
Il dio, il Rocciamelone, in realtà ti ha fatto suo molto più in basso, ma è in quel momento che nella voce si fonde il tuo respiro e il campo magnetico si manifesta nella sua invincibilità. E tutto intorno si fa tuo e tu diventi il tutto. Il crepitio del verglas, le sforbiciate del vento, gli ultimi gorgoglii della pancia del ghiacciaio più giù, il profilo delle due creste che si scontrano sulla vetta, la tomba di Luca, il rumore delle nuvole che rotolano e paiono silenziose solo ai sordi nell’anima, la vibrazione assordante del primo raggio di sole che rompe lo specchio di Malciaussia laggiù, le voci di chi negli anni è passato di lì pensando, sognando, amando, soffrendo, ridendo, ma sempre sopraffatto dalla sublime voce del Tutto, del dio, del Roc.
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