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A colloquio con Oria Conforti, la Betty de "La ragazza di via Millelire". È passata almeno una generazione dall'uscita del contestato capolavoro di Gianni Serra, eppure ci sono ancora delle cicatrici

PERIFERIE CHE CAMBIANO. MA RESTA IL SENSO D’INQUIETUDINE

Raccontare le periferie è da sempre un’impresa ardua, anche se, rispetto a trenta o quarant’anni fa, oggi ci sono meno insidie, meno facili catalogazioni. Il confine cittadino di allora era, forse, più facilmente romanzabile rispetto a oggi: le periferie erano le Colonne d’Ercole, l’ultimo pericoloso baluardo dove la città esprimeva tutta la sua incapacità di accogliere e di integrare. Di fatto, nell’immaginario collettivo, gli abitanti delle periferie erano quasi sempre trasformati in caricature, macchiette tragiche di un universo di devianza: le famiglie disgraziate, i tossici, le mamme-bambine, i mocciosi per strada, i vandali. Accanto ad essi si ergeva, splendente, l’ideale del buon operaio ambizioso, che lavorava giorno e notte da Mamma Fiat per tirare su una famiglia decorosa e onesta. La realtà, ovviamente era molto più sfaccettata, ma in quegli anni in cui i palinsesti televisivi trasmettevano film distopici sulle periferie di New York (I guerrieri della notte, Fuga dal Bronx e tanti altri), avere un “Bronx de noantri” poteva anche essere, in un certo qual modo, affascinante.

Le periferie tra luoghi comuni e nuove realtà

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Oria Conforti ai tempi di Betty, la ragazza di via Millelire

“Non scendere mai all’ultima fermata del pullman che va a Falchera”, “Stai lontano dalla gente di via Artom”, “Alle Vallette ci abita solo gente poco raccomandabile” erano alcuni dei leitmotiv che chi abitava fuori da queste aree ripeteva a chi era nuovo della città. Ma oggi non è più così facilmente applicabile il concetto di periferia uguale disagio tout court. Le zone disagiate non sono più localizzabili ai bordi della città: si sono frammentate, insinuandosi anche in zone precedentemente considerate “signorili”.

Mentre intervistavamo Oria Conforti, attrice del famigerato La ragazza di via Millelire, film del 1980 scritto e diretto da Gianni Serra, ci siamo posti molte domande e abbiamo voluto cominciare chiedendole come, a suo avviso, fosse cambiata la periferia rispetto alla descrizione che se ne fa in quel film. Di questa coraggiosa pellicola peraltro molti conoscono solo il titolo, diventato una sorta di stigma denigratorio nei confronti di Mirafiori Sud – e delle periferie in generale – ma ben pochi l’hanno visto, proprio a causa dello scandalo che fece quando fu proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia, così che il film fu insabbiato, dimenticato insieme al suo regista, Gianni Serra. Non è comunque un’opera semplice e non tratta di questioni facili: le periferie non ne uscivano molto bene e questo lavare i panni sporchi fuori casa fece indignare i più.

Oria Conforti, la Betty simbolo del disagio delle periferie

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Oria Conforti oggi

Oria era stata scelta come protagonista sebbene non fosse una ragazza della banlieue, a differenza della maggior parte degli altri attori, ragazzi di strada, che spesso il regista doveva andare a recuperare e riportare sul set, perché, proprio come i personaggi che interpretavano, vivevano totalmente allo sbando. Il co-protagonista, racconta Oria, aveva diciott’anni quando è morto; lo hanno trovato in auto alle cinque del mattino: overdose. «Era un tipo particolare – ricorda Oria – ma non si presentò mai sballato alle riprese. Una volta, ad esempio, andai alle prove con un gilet nero trapuntato di cotone e mentre studiavamo le parti iniziò a chiedermi: ‘Oria, me lo presti questo tuo gilet?’ ‘No, gli rispondevo, perché poi non me lo ridai più.’ Alla fine, tanto fece e tanto disse che glielo feci provare. Solo provare. Quando l’ebbe addosso mi guardò ridendo: ‘Tu lo sai, vero, che non te lo ridò più?’ Ecco, erano ragazzi così. Però anche molto sinceri. Se capivano che stavi dalla loro parte, non li giudicavi, allora sapevano mostrare un cuore grande. Capitò una sera che uno del quartiere mi puntasse il coltello al fianco; eravamo dietro il camper dove ci si cambiava. Come si è saputo, non solo non è più successo, ma il tipo smise proprio di girare lì intorno. Senza bisogno di dirgli nulla… non so se ci capiamo».

Quindi, non erano solo atmosfere romanzate, la realtà era quella che dipingeva il film? Oria sorride: «Beh, qualche episodio sgradevole c’è stato, sì, non è che fosse tutto rose e fiori. Per esempio, certe donne che passavano tornando da fare la spesa ci urlavano addosso: ‘Guardati la merda sotto casa tua!’. Poi a volte capitavano gli accoltellamenti e trovavi negli androni le scarpate sporche di sangue… Ricordo quella volta che si girava di notte e stavamo in uno dei cortili interni dove oggi ci sono alberi e cespuglietti, mentre allora erano più che altro fango e erbacce. Lì accanto c’erano le scale che portavano alle cantine che erano piene di voliere per gli uccelli e noi eravamo tutti sistemati per cominciare a girare la scena; ad un certo punto, una donna, sarà stato dal quarto o quinto piano, si affaccia al balcone e svuota il secchio del pattume giù dalla finestra…così, tranquillamente. Noi ci siamo visti cadere praticamente in testa la sua immondizia: bucce di frutta, mozziconi, sporcizia: praticamente la massaia aveva buttato via direttamente da casa in cortile, come in una discarica. E, in effetti, quando ci siamo guardati intorno, abbiamo visto che ce n’era un po’ dappertutto: ovviamente non era l’unica a farlo. E c’erano soprattutto siringhe, che nessuno puliva mai».

Quelle vie descritte da Oria, oggi non sembrano più le stesse: al Colonnetti (allora definito “parco sperimentale”, anche se non è mai stato chiaro per quali esperimenti) all’epoca si trovavano rifiuti, preservativi, siringhe usate. Oggi c’è la Casa del Quartiere, tutta colorata, dove si fanno corsi di yoga, proiezioni cinematografiche, concerti e c’è persino una locanda dove si mangia un’ottima pizza. Il verde è curato, la gente fa jogging o va in bici per i vialetti, gli scoiattoli saltellano sui rami e le aree giochi sono pulite e piene di bambini.

Quando, dopo quasi quarant’anni, Oria è tornata per quelle strade di Mirafiori, l’impressione che ha avuto è stata contrastante: «È vero che non ho più visto i ragazzi di una volta. Ma la realtà è anche che non ho più visto così tanti ragazzi come ce n’erano un tempo e invece ho visto, purtroppo, molte serrande abbassate. E i lampioni intonsi, adesso. Perché non tutti lo sanno, ma il sindaco Novelli faceva una sorta di pacifico braccio di ferro con i ragazzi del quartiere, che tutte le sere prendevano a sassate i lampioni e li fracassavano. E lui, il giorno dopo, puntuale, mandava una squadra di operai a rimetterli a posto. Il concetto di Novelli era vedere chi si sarebbe stufato prima. E si sono stufati prima loro, hanno smesso di romperli. Anche la scena dei lampioni, mi ricordo, la rifacemmo, ma non in via Artom, bensì tra via Negarville e via Plava (in realtà moltissime scene sono state girate nelle suddette vie, ndr). In ogni caso, non abbiamo avuto nessun particolare problema a girare, la gente era curiosa, i ragazzi non raccontavano i fatti loro e non si lamentavano, anche quelli che già si bucavano. Tutto avveniva fuori dal set. Venivano tanti bambini a vedere, ne ricordo bene una con le trecce che si fermava per ore a guardare con le braccia sui fianchi. Oggi la zona è più “pulita”, ma non credo basti un make-up esteriore per modificare tutto. È vero che molti sono morti, altri finiti in galera e le torri più fatiscenti sono state abbattute. In effetti, apparentemente è cambiato moltissimo in via Artom, ma rimane qualcosa che sento come inconcluso».

Sono davvero cambiate, le periferie?

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Uno scorcio della Mirafiori Sud di oggi

Forse Oria ha ragione: tutte le periferie (anche quelle che, per citare Renzo Piano, sono state rammendate) mantengono delle cicatrici che trasmettono per sempre questa sensazione. Non è solo la nomea, è che il centro città continua ad essere un luogo percepito come lontano, quasi ostile. Spesso inarrivabile. Mirafiori Sud rimarrà sempre distante e i suoi abitanti, come quelli di Falchera e delle Vallette, continueranno a dire “Andiamo a Torino” per indicare il centro città? Probabilmente sì, in primo luogo perché arrivare “laggiù” comporta ancora difficoltà: il tram 4 sarebbe dovuto diventare metro ed essere collegato alla linea 1 e alla 3. Inoltre, anche se ci sono più offerte ricreative (c’è una sala prove in strada del Drosso, gli Orti lungo il Sangone sono stati risanati e resi vivibili per gli abitanti, il Mausoleo della Bela Rosin non è più “il santuario delle Messe Nere” come si diceva un tempo ma una biblioteca) quanti anziani e giovani in un quartiere così vasto e organizzato per “isole” hanno la macchina per poter raggiungere i luoghi risanati? Quanto conta il fatto che in certe aree abbiano chiuso filiali di banche, sportelli postali o che non esista un pub dove fare aperitivo o un cinema e una libreria? Probabilmente è questo il senso di inconcluso che ha provato Oria Conforti.

Se il film La ragazza di via Millelire è stato grandioso perché ha saputo descrivere quella generazione e far intuire come sarebbe finita, senza compiacimenti né moralismi pur narrando storie di ragazzi sbandati, con i loro riti e i loro valori autoprodotti per sopperire alla mancanza di punti di riferimento, cosa si narrerà della periferia di oggi, dei vuoti adolescenziali riempiti dai giochi online? In periferia, se non si è figli di genitori che hanno la possibilità di far frequentare corsi di nuoto, inglese, danza o karate, finisci lo stesso in una voragine. Solo che non è più l’eroina, ma la connessione internet. E la tragedia è quando si muore per una challenge in rete, il dramma sono i bambini e i ragazzi sulle panchine, tutti attaccati al loro cellulare, senza neanche guardarsi in faccia. Pronti per diventare hikikomori.

Lo spirito del luogo, il Genius Loci è presente anche nelle periferie. Certi cieli enormi e infuocati dietro i tralicci li puoi vedere solo da laggiù. Le guglie delle fabbriche, i campi di granoturco e le bealere che segnano il limes – in continua trasformazione – tra città e campagna, le strade polverose, i canti notturni dei grilli: i luoghi ci parlano, ci accolgono, o ci respingono, facendoci sentire abitanti o stranieri; anche le periferie hanno un’anima, potentissima, che le caratterizza e le rende uniche. Le periferie evocano suggestioni, emozioni e ricordi in chi li percorre con attenzione, prestando l’orecchio ai passi di chi è venuto prima.

Se oggi nelle periferie di Torino la situazione sembra molto più tranquilla, sotto l’asfalto delle strade, tra il cemento dei casermoni e le villette geometrili, l’inquietudine resta ancora viva: ha lasciato per sempre il suo segno. La città potrebbe riprendere vigore e inglobare quei quartieri, costruendo un’altra, nuova periferia. Ma non siamo più negli anni Ottanta.

E, chissà, se fosse ancora vivo, che film ci farebbe Gianni Serra.

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