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Segnali incoraggianti dal rapporto "Diritti a scaffali" redatto dall'OXFAM. Ma la strada da percorrere è ancora lunga. Tra i valori in esame, pesa moltissimo la differenza di genere

ALLA RICERCA DELL’ETICA FRA GLI SCAFFALI DEI SUPERMERCATI

La pandemia ha certamente cambiato il nostro modo di rapportarci con i beni di consumo. Code davanti ai supermercati, scaffali vuoti, razzie di lievito e carta igienica: questi sono solo alcuni degli scenari emersi dal primo lockdown. Scenari che mettono in luce un altro lato della medaglia: il boom della grande distribuzione. Come confermano i dati Nielsen, pubblicati da Osservaitalia.it, nei mesi in cui la pandemia ha colpito più forte, le catene della GDO (Grande Distribuzione Organizzata) hanno registrato una vera e propria impennata nelle vendite. Uno scenario che si sta ripetendo: nella settimana dal 19 al 25 ottobre infatti, nella sola Area 1 (Liguria, Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta), il fatturato dei supermercati è cresciuto del 6,45% rispetto allo stesso periodo del 2019.

L’atto di fare la spesa si è evoluto con la pandemia, trasformandosi in un’occasione per uscire di casa e concedersi un po’ di svago. E se, almeno nelle fasi iniziali, la scelta dei beni da acquistare era strettamente legata al panico, si è poi rapidamente evoluta, spostandosi prima sui beni indifferibili, poi su quelli derivati dalla chiusura di bar e ristoranti. Un esempio è certamente la farina, che ha fatto registrare incrementi nelle vendite anche del 90%.

Passato quindi il periodo più irrazionale, molti italiani hanno iniziato a fare la spesa in modo sempre più consapevole. Il che significa maggior attenzione nella scelta non solo dei prodotti, ma anche dei punti vendita. E se molte delle confezioni che troviamo sugli scaffali contengono un gran numero di informazioni, che ci dovrebbero aiutare a scegliere con cognizione, non sempre possiamo dire altrettanto delle insegne della grande distribuzione. Si presentano lucide, accattivanti, armate di slogan che ci fanno intendere che solo lì potremo trovare ciò che stiamo cercando al giusto prezzo. Ma è davvero tutto così bello e perfetto come sembra?

Il rapporto 2020 “Diritti a scaffali” redatto dall’OXFAM (organizzazione internazionale che si occupa di migliorare le condizioni di vita delle persone povere) tenta di rispondere all’interrogativo. Considerando fattori come trasparenza, tutela dei lavoratori e dei piccoli produttori, abbattimento delle differenze di genere, questa indagine ha messo sotto la lente d’ingrandimento le cinque maggiori catene su suolo italiano: Conad, Coop, Esselunga, Eurospin e Selex. Veri e propri colossi, detentori di qualche migliaio di punti vendita ciascuno.

Anche nel panorama torinese questi marchi sono rappresentati in modo importante, con cifre variabili tra la ventina e la trentina di esercizi. A far eccezione sono solo Esselunga e Selex, la prima nettamente meno rappresentata, la seconda, grazie al gran numero di insegne che raggruppa (es. Mercatò, Il Gigante, Dpiù), in modo decisamente maggiore. Se fosse una classifica basata sul numero di punti vendita avremmo già trovato il vincitore. Ma se, uscendo di casa per fare la spesa, volessimo prendere in considerazione ulteriori criteri, oltre alla distanza del supermercato dalla nostra abitazione, allora probabilmente ci toccherebbe rivedere la classifica.

Partiamo allora dal presupposto del rapporto: “I supermercati perseguono l’obiettivo di acquistare prodotti alimentari o non alimentari alle migliori condizioni possibili. Per poter garantire ai consumatori prezzi bassi tutto l’anno, massimizzare quantità e qualità al minor costo possibile è pertanto il loro imperativo, che, esercitato dall’alto del loro enorme potere negoziale, può obbligare i loro fornitori, e in particolare i piccoli produttori, a ridurre all’osso qualsiasi costo di produzione. La conseguenza è che agli agricoltori, ai pescatori e ai braccianti che hanno lavorato duramente per produrre quel cibo anche a costo di forti privazioni o violazioni dei loro diritti arriva una quota sempre minore del prezzo pagato dal consumatore finale. Ciò non significa che i supermercati siano sempre direttamente responsabili degli abusi e delle violazioni dei diritti che si verificano nelle loro catene di approvvigionamento, dal momento che spesso non impiegano i loro lavoratori nella raccolta o trasformazione del cibo. Tuttavia i loro modelli di business e le pratiche commerciali adottate possono indirettamente contribuire a che ciò accada”.

Ciò significa che, probabilmente, dietro ai bei pomodori comprati al supermercato ad un prezzo stracciato, c’è un produttore costretto a tagliare sia sul prezzo di vendita, così da potersi garantire il contratto con la GDO, sia sul costo di produzione. Da qui nascono, in certi casi, problematiche come caporalato e utilizzo di pesticidi ai limiti di legge, che molto indignano un’opinione pubblica spesso, almeno in parte, inconsapevole di ciò che mette nel carrello.

Alla luce di queste considerazioni, il rapporto “Diritti a scaffali” presenta una classifica saldamente guidata da Coop, seguita da Esselunga, Conad e Selex, notevolmente distaccate, ma tutte e tre vicine tra loro. Fanalino di coda è il leader dei discount in Italia, Eurospin, che totalizza appena due punti percentuali. Come spiegato da OXFAM, il 40% ottenuto da Coop è frutto di una collaborazione con sindacati e organizzazioni che operano nei luoghi di produzione, al fine di evitare violazioni dei diritti dei lavoratori. Rispetto all’anno precedente crescono poi le valutazioni di Esselunga e Conad, per quest’ultima anche grazie all’impegno assunto per garantire maggiore stabilità contrattuale alle piccole medie aziende del territorio e per diffondere la conoscenza delle filiere locali.

Da notare è anche il 23% ottenuto da Selex, con una crescita del 22% su trasparenza e accountability (lo scorso anno aveva totalizzato 0 punti). Un netto incremento legato anche al progetto di lotta al caporalato recentemente avviato dall’azienda e alla sua presa di posizione contro le pratiche commerciali sleali. Tra queste troviamo le tristemente note aste elettroniche al doppio ribasso, esempio delle cattive pratiche in uso nel settore della GDO, contro le quali si sono fermamente espresse tutte le insegne citate ad eccezione di Eurospin, che, sempre secondo il rapporto di OXFAM, resta l’unica azienda in esame a non avere ancora solide politiche per la prevenzione di violazioni dei diritti e condizioni di lavoro degradanti.

La disuguaglianza di genere resta invece un problema comune ai vari marchi in esame. Ben 4 su 5 continuano ad ottenere un punteggio dello 0%, in quanto non hanno ancora attivato politiche e pratiche che assicurino alle donne impiegate nella filiera un trattamento equo. Unica eccezione, anche se minimale (14%), è quella di Coop, che nel corso dell’ultimo anno ha avviato un percorso di riconoscimento delle disuguaglianze di genere all’interno delle proprie filiere.

Questo quadro fornito dalla pagella OXFAM rende evidente quanto la strada sia ancora lunga, ma i tassi di crescita sono incoraggianti. Tocca ovviamente ai consumatori stimolare i legislatori e la grande distribuzione a cambiare passo. E il nuovo lockdown in Piemonte può certamente rappresentare un’occasione per promuovere questa conversione in un modo diverso da raccolte firme e grandi manifestazioni di piazza. Basterebbe mediare i tradizionali criteri di scelta di punti vendita e generi alimentari, basati su estetica e costo, con due criteri innovativi: trasparenza dei prodotti ed eticità delle filiere. Perché con una spesa consapevole degli impatti che può avere su persone, ambiente e società mettiamo nel carrello anche un futuro migliore.

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