Alta Via dei Walser. Perché proprio l’Alta Via dei Walser? Semplice, prendete una domenica come tante, una di quelle in cui ci si sveglia ancora stropicciati dalla frenesia delle vite moderne, o magari precocemente strappati dalle braccia di Morfeo perché disturbati dal rombo fastidioso di un tagliaerba insolitamente mattiniero, oppure insonni a causa del giovane dirimpettaio che ha tirato tardi in compagnia di un numero imprecisato di amici vocianti. Beh, ecco, per non darla vinta ad un karma che sembra farsi beffe di noi perché non interrogare l’oracolo 2.0? Digitando «passeggiate per famiglie nelle montagne piemontesi» lo schermo del cellulare ci rimanda una proposta che solletica il nostro desiderio di fuga: «Alta Via dei Walser in Val Vogna, un percorso poco impegnativo, adatto a tutti e da fare in giornata nella valle pimontese più verde d’Italia». Con queste premesse non ci resta che partire.
Alta Via dei Walser, un’avventura cominciata cinquant’anni fa
L’ Alta Via dei Walser in Val Vogna è uno dei 13 Sentieri dell’Arte che il CAI di Varallo, in provincia di Vercelli, ha creato per recuperare e valorizzare il proprio territorio: la Valsesia, una delle ultime valli a Nord del Piemonte.
Ma come nacque, l’Alta Via dei Walser? Tutto s’iniziò cinquant’anni fa, quasi in sordina e prima ancora che in Italia si parlasse diffusamente di marketing territoriale e di turismo esperienziale. Nel 1972, infatti, un gruppo di giovani valsesiani innamorati delle proprie montagne compresero che il turismo non è solo quello delle grandi e rinomate località, turismo vuol dire anche difendere e avere cura del proprio territorio, aprendosi in modo intelligente e responsabile a quel processo economico – il turismo – in grado di coniugare azioni, programmi, progetti e strategie con le peculiarità di quel territorio e le anime delle comunità che lì vivono. Così, capitanati dal dottor Raiteri, classe 1927 e valsesiano doc, colui che ha creato il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino tanto per intenderci, insieme con un gruppo di volontari del CAI di Varallo hanno ripristinato nel corso del tempo antichi tracciati e restaurato affreschi, piccole cappelle, oratori, baite, forni, mulini, fontane, fienili, ponti con l’unico intento di mantenere in vita le loro montagne e le loro tradizioni. Nascono i “Sentieri dell’Arte sui monti della Valsesia”.
Il sentiero Alta Via dei Walser in Val Vogna nasce proprio da lì, dalla lungimiranza di un uomo, dalla passione di molti e dal desiderio di rendere omaggio ad un’antica comunità la cui testimonianza è ancora ben visibile e radicata nel territorio: la piccola Val Vogna infatti, laterale alla Valsesia, è stata per lungo tempo terra di passaggio dei migranti verso la Francia e la Valle d’Aosta ma anche, e soprattutto, terra di approdo delle genti Walser che qui hanno potuto fermarsi per viverci stabilmente.
Ora, da questa unione fra Montagna, Walser e Arte non poteva che nascere un matrimonio solido, di quelli dal sapore antico dove però non sono protagonisti i grandi maestri valsesiani del Cinque e Seicento, bensì le sublimi maestranze (decoratori, scultori, pittori, falegnami, architetti, gessatori, stuccatori) che si sono lasciate ispirare dalla natura poderosa e spettacolare delle vette del Monte Rosa, lasciando un’impronta sul territorio pimontese, italiano e europeo. Ecco, in questo mondo ci conduce l’Alta via dei Walser.
Si parte! Il Sentiero dell’Arte alla scoperta dei Walser
Dal Torinese, il tragitto in auto per raggiungere la Val Vogna e la sua Alta Via dei Walser è di circa due ore ma ne vale la pena: che si percorra o meno il primo tratto in autostrada, il viaggio è comodo e sempre più scenografico via via che la città cede il passo alle risaie vercellesi e poi ai tornanti montani. Superata Riva Valdobbia, una delle sei principali colonie Walser della Valsesia, si deve proseguire per la frazione Cà di Janzo, il punto di partenza e sosta obbligata swll’Alta Via dei Walser perché da qui le auto non possono più procedere. Posati i piedi a terra e indossati gli zaini, non appena si alza lo sguardo veniamo abbracciati dai folti boschi che circondano il piazzale su cui sovrastano le cime delle Alpi Pennine, preludio del massiccio del Monte Rosa. Da qui, seguendo la segnaletica del CAI, iniziamo la salita verso Selveglio, il primo dei villaggi dell’Alta Via dei Walser.
La mulattiera dell’Alta Via dei Walser è ben tracciata e ampia anche se il primo breve tratto in salita risulta un po’ ripido per il nostro fisico cittadino. Infatti, il respiro si fa presto affannato, il cuore comincia a battere più veloce e i muscoli delle gambe a bruciare. In fondo, che cos’è la montagna se non una metafora della vita? Non ne rappresenta forse gli ostacoli e le difficoltà, così come la determinazione e il coraggio nell’affrontarli? Così, con un impeto d’orgoglio ci concentriamo sul ritmo del passo e dei respiri e quando sembra di essere giunti allo stremo, ecco ad attendere il moderno viandante una delle splendide fontane che il CAI ha ripristinato e su cui svetta la prima delle case in legno e pietra dei Walser.
Approfittiamo dell’acqua fresca e della seduta in pietra per riposarci un momento e goderci il paesaggio, scambiando nel frattempo il “buongiorno” con gli alpinisti che incrociamo secondo quel rito che solo chi frequenta la montagna conosce, una sorta di primaria e simbolica forma di contatto che può regalare anche piacevoli sorprese: come il signor Bruno e sua moglie che incontriamo sulla “nostra” Alta Via dei Walser, milanesi habitué della Valsesia, che con la scusa di raccontarci qualche aneddoto ne approfittano anche loro per recuperare il fiato. È da sessant’anni che il signor Bruno trascorre il suo tempo libero in queste valli del Piemonte, pertanto ne conosce pregi e difetti. Ci racconta che nel corso degli anni la Valsesia è cambiata e si è aperta verso l’esterno, seppur lentamente; ma come in tutte le grandi sfide, per molti valligiani è stato difficile accettare ed accogliere i mutamenti che l’economia del turismo ha inevitabilmente imposto, compresa la responsabilità di curare, preservare e raccontare questi territori.
Ma arriva il momento di riprendere il cammino, se non vogliamo che il sudore della salita si raffreddi sulla pelle. Prima di congedarci, il signor Bruno ci rassicura con sorriso complice: è solo il primo tratto a mettere un po’ alla prova, il resto sarà davvero una passeggiata. Così, improvvisamente più “leggeri”, siamo pronti ad accogliere le promesse dell’Alta via dei Walser.
Installazioni artistiche lungo l’Alta Via dei Walser
Una dopo l’altra, proseguendo lungo l’Alta Via dei Walser, ci lasciamo alle spalle le frazioni d’alta quota, Oro, Cà Vescovo, Rebernardo, Selletto, Cambiaveto, Le Piane, tra continui cambi di scena e personaggi: boschi e pascoli, baite walser sparse qua e là, cani sonnecchianti o galline libere di muoversi e di beccare nei prati, piccoli oratori affrescati e dedicati a qualche santo che invitano al silenzio e al raccoglimento sotto lo sguardo indifferente di giovani caprioli che ci osservano a pochi metri di distanza, per nulla infastiditi dalla nostra presenza. E inaspettatamente installazioni d’arte lungo il cammino, come a ricordarci che l’effimero della “materia umana” non può domare la natura ma solo adattarsi ad essa. Forse, è proprio questo il significato più profondo dei Sentieri dell’Arte della Valsesia. Forse, è proprio questo il valore della spendida Alta Via dei Walser.
Baite walser: una bellezza intatta nel corso dei secoli
Sono soprattutto le baite, lungo l’Alta Via dei Walser, a catturare i nostri sguardi ammirati. Uguali nella struttura architettonica fatta di tetto a piode, travi in legno a vista e loggiato un tempo adibito a fienile, queste antiche dimore walser sono invece diversissime tra loro nella scelta dei dettagli: vasi di fiori coloratissimi appesi ai balconi dove un tempo si facevano seccare i mazzi di spighe di grano e segale, oppure oggetti della quotidianità montanara (una gerla, sci e zoccoli di legno, una falce o delle corna di stambecco) fissati alle pareti esterne; o ancora materiali semplici, che potrebbero essere banalmente buttati tra i rifiuti e che invece inseriti nel corpo stesso della casa riprendono vita e, magari, nuovo uso e ricordare così la vita di chi ogni giorno cercava il compromesso con quelle montagne.
Il restauro di queste antiche dimore che si incontrano sull’Alta Via dei Walser però, ci spiegava il signor Bruno, non è per tutti. Infatti, solo pochi fortunati oggi possono permettersi la ristrutturazione di queste dimore: da un lato il loro alto valore storico-artistico necessita dell’avvallo della Soprintendenza e di professionisti altamente specializzati, dall’altro i costi vertiginosi per il restauro lievitano di molto a causa dall’impiego dell’elicottero, il solo mezzo di trasporto in grado di portare fin quassù uomini, materiali e strumenti. Una bella sfida se pensiamo che un tempo i Walser si affidavano esclusivamente alla forza delle loro braccia e soprattutto al lavoro di squadra, al lavoro di comunità, perché condividere conoscenze e fatiche significava riuscire a dar vita ad un sistema virtuoso, seppur chiuso, in grado di consentirgli la sopravvivenza anche in un ambiente spesso sfavorevole.
Peccia: piccola perla lungo l’Alta Via dei Walser
Tra tutte le frazioni alte lungo l’Alta Via dei Wlaser, però, è forse la comunità di Peccia ad averci sorpresi maggiormente. Non si svela subito, perché le pareti a tratti morbide della montagna ne nascondono il più possibile la vista: dapprima spunta la cupola del campanile, poi a sinistra le sponde del laghetto e il piccolo ponte napoleonico, infine le baite walser pronte a sorriderti in tutto il loro splendore. Sarà per la luce particolare della giornata, ma più ci si addentra e più si ha l’impressione di immergersi in un’altra dimensione e in un altro tempo, popolato da uomini e donne intenti nei faticosi lavori quotidiani, da bambini che scorrazzano allegri e da masche, le streghe della tradizione popolare piemontese, bardate di nero, che tengono in mano il bastone del comando e nell’altra il libro dei sortilegi. Anche questa è la magia dell’Alta Via dei Walser.
Percorrendo la via principale di Peccia, in una decina di minuti arriviamo al punto più alto della frazione dove si trova il cinquecentesco oratorio di San Grato, dal cui sagrato ci si perde ad osservare la valle sottostante. Curiosamente il portone d’ingresso non è rivolto verso la strada e il villaggio, a cui dà le spalle, ma verso la valle: perché? Nella simbologia cattolica la porta della chiesa è il punto d’incontro tra ciò che appartiene al mondo e ciò che è consacrato a Dio, è simbolo dell’accoglienza del gregge nella Sua casa. Ma allora perché non è rivolto, come è logico che sia, verso il centro abitato? «Perché la costruzione della chiesa voleva proprio essere una glorificazione dell’accoglienza in Val Vogna dei Walser i quali però, secondo le fonti storiche, non giunsero da Macugnaga e dall’alto, come accaduto per l’insediamento nel Comune di Alagna Valsesia, più a Nord e ai piedi del Monte Rosa, bensì da Gressoney cioè dal basso, dalla vallata che voi vedete», ci racconta la custode.
Lasciamo Peccia un po’ a malincuore e prendiamo la via del ritorno seguendo il torrente Vogna e attraversando le frazioni basse, Sant’Antonio, Ca’ Verno, Ca’ Morca, Ca’ Piacentino, fino al punto di partenza Ca’ di Janzo. Un tempo Sant’Antonio era chiamata la “capitale” della Val Vogna e dove ora c’è il rifugio tappa per la Grande Traversata delle Alpi c’era la casa parrocchiale dell’abate che aveva anche il compito di far scuola ai bimbi della valle. Le altre frazioni sono costituite per lo più da case rurali, alcune finemente ristrutturate, e qualche stalla: lo spettacolo in questo tratto dell’Alta Via dei Walser è forse meno coinvolgente rispetto a quello vissuto nella prima parte del sentiero ad anello, sarà per via della strada sterrata che ci riporta alla modernità o, forse, siamo semplicemente un po’ stanchi. Il cielo si sta rannuvolando e l’aria rinfrescando: è proprio ora di tornare verso casa, ben consapevoli che la Valsesia deve ancora raccontarci molto di sé.
La montagna ti mette alla prova, come la vita. Ti aspetta al varco e ti sorprende, nel bene o nel male. Forse basta solo scegliere dove puntare lo sguardo: tenere gli occhi sempre verso il sentiero per non rischiare di cadere o guardarsi sempre intorno per non perdersi nulla dello spettacolo che la montagna ci regala. O mischiare le due cose, si tratta pur sempre di una scelta. In fondo, la vita è proprio questo, un insieme di tanti cammini quanti sono i modi che ciascuno di noi ha di osservare e vivere le proprie vette. Tutto qua.
0 commenti