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"Rebecca vento e nuvole delle mie Valli" (Atene del Canavese) è un viaggio a ritroso nella storia dell'emigrazione e dei suoi protagonisti che dall'America giungono nelle Valli di Lanzo

ILARIO BLANCHIETTI: UN ROMANZO TRA CIRIACESE E VALLI DI LANZO

Quante volte, leggendo un libro, ci immaginiamo i posti che vengono descritti e ci chiediamo da dove avrà preso l’ispirazione l’autore. Quando mi sono immersa nella storia di Rebecca. Vento e nuvole delle mie Valli non ho dovuto usare la fantasia perché conoscevo molto bene tanti dei paesaggi descritti, essendo il romanzo di Ilario Blanchietti ambientato tra Ciriè e le Valli di Lanzo.

L’autore

Ilario Blanchietti è un regista e scrittore originario di Orio Canavese; nei suoi lavori, sia cortometraggi che libri, ha raccolto molte vicende e memorie storiche del territorio, cercando di valorizzare la cultura piemontese e di tramandarne le tradizioni. Sono tutti aspetti che si trovano anche nel suo ultimo romanzo pubblicato con “Atene del Canavese”, casa editrice con una particolare vocazione “locale”, con sede a San Giorgio Canavese.

Il romanzo

La protagonista di Rebecca. Vento e nuvole delle mie Valli, come suggerisce il titolo, è Rebecca, una donna americana con nonni italiani, emigrati dal Piemonte in cerca di una vita migliore negli USA a inizio secolo. Rebecca ha una vita soddisfacente nel New Mexico, dirige con successo una rivista femminile e ha due figlie, ormai adulte e lontane, con cui continua ad avere un forte legame. Ma sente l’esigenza di prendersi una pausa e di intraprendere un viaggio, da sola, alla ricerca delle proprie radici. Ed è così che arriva a Ciriè e da qua si sposterà per tutte le Valli di Lanzo alla ricerca di vecchie storie e delle sue origini. Nel suo cammino incontrerà tanti personaggi che le faranno da guida, ma che la toccheranno anche più profondamente, diventando amici e confidenti. Questo libro racconta molto del territorio e delle sue tradizioni, ma non solo, è un romanzo con personaggi decisi, come Rebecca, una donna forte e curiosa, che sa muoversi nel mondo ed imparerà anche a muoversi in un territorio ancora più difficile, quello delle proprie emozioni. Gli altri personaggi, originarie del Ciriacese, nascono anche loro dalla fantasia dell’autore, che però ha incontrato molte persone nei mesi prima di architettare la storia, facendo molte ricerche ed interviste sul territorio.

L’intervista a Ilario Blanchietti

Potrebbe essere che qualcuno, leggendo il romanzo, possa riconoscere nei tratti o nelle parole qualche persona realmente conosciuta. Cerchiamo di avere qualche indizio direttamente dall’autore, Ilario Blanchietti.

Joseph Conrad era solito dire “come faccio a spiegare a mia moglie che quando guardo dalla finestra sto lavorando?”. Nel tuo caso, immagino tu abbia dovuto spiegare che erano uscite di lavoro tutte le volte che sei venuto a scoprire posti nuovi tra le Valli di Lanzo e il Ciriacese. Hai visitato tanti luoghi prima di poterli descrivere nel tuo romanzo: se invece di una storia avessi scritto una guida turistica, quali sono i tre posti che ti sentiresti di consigliare?

«Questo aspetto del lavoro non è in effetti semplice da spiegare, non solo a una moglie – per chi ce l’ha – ma anche alle persone che si frequentano abitualmente. Eppure i sopralluoghi, recarsi di persona negli angoli dove la storia sarà ambientata, parlare con la gente del posto, è un aspetto fondamentale per riuscire a descrivere territorio e cultura nella maniera più veritiera e credibile possibile. Il lettore lo percepirà, anche inconsciamente: le storie devono essere “vere” anche se inventate o vissute da personaggi di fantasia. Se dovessi consigliare alcuni itinerari suggerirei le tre valli, dando come riferimento l’arrivo ai fondo valle, quindi Forno Alpi Graie, Pian della Mussa, lago di Malciaussia. Dedicare un giorno a ciascuna escursione, per poter ammirare con calma l’ambiente, i boschi, gli edifici, sostare nei luoghi di interesse e fermarsi nelle borgate per assaporare e godere delle specialità locali, tutto questo sempre facendo riferimento a Ciriè come punto di partenza o di arrivo. Suggerirei un quarto percorso, quello che da Lanzo sale a Coassolo per scendere poi nuovamente a Ciriè passando per Corio».

Rebecca non visita solo luoghi, ma incontra anche tante persone diverse che le fanno da guida durante la sua vacanza e che le raccontano di tempi lontani, vecchie usanze e tradizioni. Dai ricordi di guerra alle origini di certi alimenti, dalle tradizioni musicali ai ricordi di set cinematografici, fino a qualche fatto di cronaca più doloroso, sono tutte informazioni che Rebecca utilizza poi per la sua rivista americana. Scopriamo così,  tra le pagine del romanzo, molti aneddoti nuovi anche per noi che viviamo qui vicino, non soltanto i lettori oltreoceano di Rebecca. Quanto è stato importante il lavoro di ricerca e chi ti ha aiutato?

«Il lavoro di ricerca è la base per poter partire a scrivere una storia come quella di questo romanzo. Bisogna leggere qualunque testo che parli del territorio, dalla saggistica alle guide turistiche: quello che si apprende è, a volte, inaspettato e le sorprese gradevoli sono sempre tante e stupefacenti; non si può essere al corrente di tutto e men che meno essere esperti di tutto, bisogna affidarsi a chi ha le giuste conoscenze e che già in passato ha intrapreso lavori di studio e di ricerca. Nei ringraziamenti a finali ho elencato le persone che più di tutte hanno contribuito alla buona riuscita della storia regalandomi informazioni e offrendomi supporto».

Per chi pensa di organizzare un viaggio in Italia dall’estero, sono molte le mete che visiterebbe prima di capitare a Ciriè: spesso c’è sempre un po’ di reticenza sulla provincia e i suoi abitanti. Ma tu hai deciso di ambientare tutti i tuoi romanzi in queste zone, pur avendo viaggiato molto ed avendo anche vissuto all’estero. Sei anche riuscito a far ricredere Rebecca su questo stile di vita; quali sono gli aspetti della vita in provincia a cui ormai non rinunceresti più?

«Credo sia importante per ragazze e ragazzi in giovane età viaggiare e, se possibile, vivere per un certo periodo lontano casa, magari all’estero. Questo tipo di esperienza è indispensabile per poter decidere se il posto in cui si è nati valga o meno la pena di essere preso in considerazione per trascorrervi gli anni della propria vita. Ma non ci sono schemi stabiliti, non esistono passi da fare o da evitare, il tutto è molto personale. Spesso poi le scelte sono obbligate, imposte da motivi di studio, di lavoro, di relazioni sentimentali, ma detto questo è facile capire che qualcuno trascorre felicemente la propria esistenza senza sentire la necessità di spostarsi, altri si muovono in continuazione e non trovano o non vogliono trovare un posto ideale, alcuni corrono negli anni della gioventù, poi frenano e tornano al paesello natio solo per trascorrervi gli anni della vecchiaia. Il luogo che ci ha visto nascere e crescere, il posto dove abbiamo trascorso l’infanzia, lascia una traccia indelebile dentro di noi, qualcosa che forse riusciamo ad apprezzare solo dopo una certa età, quando ci si ferma un attimo per cominciare a fare il bilancio su tutto quello che di buono o di cattivo abbiamo combinato. Personalmente, da ragazzo sentivo la necessità di vivere in grandi città, in metropoli, in posti che fanno girare la testa. Allo stesso modo adesso non lascerei il mio piccolo paese, dove conosco tutti, dove posso condividere ricordi, comunicare con particolari espressioni dialettali; godere di una natura rigogliosa, vedere le montagne, le vigne e gli uliveti, raccogliere funghi, luppolo, valeriana e fiori di acacia; non potrei fare a meno di alcuni riti quotidiani, il caffè dopo pranzo al bar per chiacchierare e ridere con i vecchi e i giovani, le serate con gli amici nelle case o nei locali della zona, i pranzi e le cene alle sagre di paese, e poi ancora: poter parcheggiare nel cortile di casa, non dover fare la coda davanti a uno sportello, conoscere il postino».

È la ricerca delle proprie origini che spinge Rebecca ad intraprendere questo viaggio dall’America al Ciriacese, i suoi nonni erano nativi di queste zone e avevano affrontato ben due volte la traversata oceanica in cerca di fortuna. L’immigrazione, l’emigrazione sono argomenti più che mai attuali, ma lo erano sicuramente anche nel secolo scorso, quando tantissime famiglie piemontesi hanno abbandonato i loro paesi di origine per cercare fortuna in altri stati. La memoria è fondamentale per ricordare le proprie origini perché ci sono valori e tradizioni culturali che non devono andare persi. Questo vale non solo per chi ha abbandonato la propria terra d’origine, ma anche per chi ci continua a vivere?

«Le nostre tradizioni sono importanti, come importanti sono le memorie storiche, semplicemente ci aiutano a vivere meglio, anche se non ce ne rendiamo conto. Tutto quello che contribuisce alla socializzazione, alla condivisione di momenti e spazi comuni, è un toccasana per lo spirito. Cantare insieme, mangiare e bere in compagnia, ridere, raccontare e ascoltare storie, leggende e aneddoti; tutto contribuisce a un sonno purificatore, alla rimozione delle scorie mentali, al rinvigorimento della persona, all’amor proprio. Essere parte di qualcosa, di una comunità, di un gruppo, accresce l’autostima e dona una sensazione di vitalità. La semplicità ci avvicina alla serenità».

Il rapporto fra Ilario Blanchietti e Atene del Canavese

Hai all’attivo più di dieci libri. Hai deciso di legarti professionalmente ad una casa editrice locale, Atene del Canavese, che punta molto sulla valorizzazione del territorio. Essendo un aspetto fondamentale anche nei tuoi romanzi, si può dire che sia una collaborazione ben riuscita! Se dovessi dare un consiglio a chi ha una storia nel cassetto ma non ha ancora trovato il coraggio di farla leggere a qualcuno, quali passi dovrebbe compiere secondo te?

«La collaborazione con Atene del Canavese è un esempio di sinergia. È importante avere sul territorio una casa editrice che funga da punto di riferimento per gli autori locali e per i lettori. È l’unica strada da percorrere per ottenere dei risultati positivi, un modo per tenere la barra dritta, fissare degli obiettivi ben precisi e riuscire a non naufragare in un oceano immenso e burrascoso come quello dell’editoria.

Per rispondere all’ultima domanda prendo in prestito un dialogo dal film Midnight in Paris di Woody Allen, dove un giovane scrittore chiede a Ernest Hemingway: “Leggerebbe il mio romanzo? Vorrei una sua opinione.”

“La mia opinione è che lo odio.”

“Ma non l’ha nemmeno letto?”

“Se è brutto lo odio perché odio la brutta prosa, se è buono sono invidioso e lo odio ancora di più. Non chiedere mai il parere di un altro scrittore”.»

Ringraziamo Ilario Blanchietti per questa intervista e per averci mostrato con altri occhi luoghi che noi conosciamo bene, e forse proprio perché abituati, non ci meravigliamo più della loro bellezza, come invece accade a Rebecca.

Per conoscere ulteriori dettagli sulla produzione letteraria dell’autore è possibile visitare il suo sito personale: www.blanchietti.it

La copertina del romanzo di Ilario Blanchietti

La cover del romanzo “Rebecca vento e nuvole delle mie valli”

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